Il castello di Romena e i castellani fiorentini negli anni 50-70 del trecento

Il castello di Romena in Casentino conserva ancora parte delle sue lunghe e caratteristiche mura di cinta e tre belle torri, vestigia della passata importanza di presidio dell’Arno e dei monti tra Arezzo, Firenze e la Romagna.
Grande fascino ha anche la vicina pieve romanica di San Pietro, non molto tempo fa rituale sosta di gite scolastiche. Oggi, ridimensionata l’usanza, assieme al castello, è la tappa di turisti e escursionisti in un percorso di storia compreso tra Camaldoli, pievi, fortilizi e antichi monasteri.

L’origine del castello di Romena si fa risalire all’XI secolo; i feudatari che lo tennero per circa due secoli fino al dominio fiorentino furono i conti palatini Guidi di Modigliana, i quali nella prima metà del dugento divisero il loro patrimonio in più parti.
Uno dei rami cadetti ebbe il titolo proprio “da Romena”, e allora fu rappresentato dal conte Aghinolfo e dalla moglie Agnese dei Fieschi di Lavagna. Anche i suoi discendenti mantennero il titolo, sposarono signore di alto rango, combatterono attivamente nelle guerre d’Italia, testimoniarono alla pace tra Firenze e Pisa (1343) e ricoprirono l’incarico di podestà o altri di prestigio in importanti città e castelli.

Nel trecento però, più di una quarantina di anni dopo la venuta in Italia del “sospirato” Enrico VII – che nel giugno 1312 aveva confermato ad Aghinolfo II e ai discendenti i privilegi già accordati da Federico II –, e dopo l’arrivo poco incisivo di Carlo IV nel 1355, la famiglia prese atto che il tempo dell’Impero e dei grandi feudatari era finito, e che invece progrediva alla grande quello del comune di Firenze e dei suoi mercanti, contro i quali non avrebbe retto il confronto in ricchezza e in possibilità di mantenere castelli, potere militare e patrimonio.
Così ne cedette proprietà e giurisdizione. Nel luglio 1355 il conte Bandino del fu Uberto fece una donazione agli uomini, ai fedeli e agli abitanti del comune, tramite i loro consiglieri, di ogni bene che possedeva nel castello, corte e distretto. Segui nell’ottobre 1557 la vendita della fortezza ai fiorentini.

Nei decenni successivi i Priori delle Arti e il Vessillifero di Giustizia vi mandarono i loro castellani – cittadini fiorentini e di buona parentela – per la fedele custodia e a onore della parte guelfa. Determinarono la durata dell’incarico in due mesi, il numero degli armigeri in dieci, complessivamente dodici tra soci e “famiglia”.
Questa la procedura usata. I nuovi castellani giungevano nel luogo muniti di una notula di incarico e attivavano un notaio – dal 1361 al 1368 fu ser Bartolo del fu Lando da Romena – il quale, alla presenza di un paio di testimoni, registrava in una pergamena corta nome e patronimico dei nuovi responsabili e la presa di possesso delle strutture militari: il fortilizio, la rocca, l’arce, il cassero e il casseretto, le torri e le chiavi, oltre che le masserizie e le suppellettili.
Le parole che il notaio usava sulle carte erano ripetitive e essenziali. Variavano, ovviamente, i nomi di persona, salvo quello per qualche anno del citato ser Bartolo di Lando. Poco in verità si sa di lui. Ebbe un figlio Antonio che esercitò lo stesso mestiere e scrisse atti nel 1387 a Valenzano (Arezzo), nel 1389 a Gambassi, nel 1392 a Pescia nel Palazzo dei Vicari di Valdinievole e di Valleriana e nel 1395 a Figline. Poi non c’è altro, o almeno chi scrive non ha trovato ulteriori documenti.

Tornando all’elenco, iI castellani fiorentini di Romena furono:

– dicembre 1358: Amelio di Vieri dei Foraboschi, 12 soci, notaio Giovanni del fu Donato di Giuseppe dei Ricasoli;

– luglio 1360: Andriano del fu Bartalo dei Visdomini, notaio Ghezzo del fu Martino di Pieve a Presciano; sono riportati anche i nomi dei dieci armigeri della famiglia: Iacopo di Chele da Sambuco, Nuto di Giovanni da Firenze, Segna di Iacopo da Firenze, Francesco di Benincasa da Firenze, Iacopo di Giovanni di Valdisieve, Tommaso di Antonio da Firenze, Guglielmo di ser Nardi Gai da Castelfiorentino, Francesco di Nicolo di Valdisieve, Fraciolo di Vannuccio da Firenze, Bartalo di Foresino da Firenze;

– agosto 1361: Luco del fu ser Lecci, notaio ser Bartolo di ser Lando da Romena;

– febbraio 1362: Manetto di ser Boninsegna di ser Manetto, stesso notaio;

– settembre 1362: Silvestro di Lorenzo Sassolini, stesso notaio;

– novembre 1362: Iacopo Biffoli, notaio Paolo del fu Vanni Geri da Meleto, dieci armigeri;

– novembre 1363: Matteo Bentaccorde, notaio ser Bartolo di ser Lando da Romena; – [febbraio 1365]: Filippo di Spinello, notaio sconosciuto;

– agosto 1365: Boccaccio di Piero Velluti, notaio ser Bartolo d ser Lando da Romena; – febbraio 1366: Cancelliere del fu Doffo, stesso notaio;

– agosto 1366: Francesco del fu Iacobo Marchi, stesso notaio;

– febbraio 1367: “nobilis juvenes” Giovanni di Lorenzo di dom. Bencivenni degli Oricellari, stesso notaio;

– ottobre 1367: Bernardo di Bartolo dei Tigliamochi, stesso notaio;

– aprile 1368: Gottolo detto Morello del fu Berto Ciardi, stesso notaio;

– aprile 1371: Guido del fu Sinibaldo da Castiglionchio, notaio Taddeo di Donato del fu Roffo Marchi;

– ottobre 1371: Buondelmonte del fu Giovanni del popolo di Santa Trinita, notaio Valore del fu ser Guido di ser Mino da Romena, ufficiale di Romena ser Alessandro Colti da Monterappoli.


Paola Ircani Menichini, 7 settembre 2023.
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